Social media marketing: 8 falsi miti da sfatare
Il social media marketing è uno dei campi del digital che meglio si presta alla proliferazione di questi luoghi comuni. Abbiamo così pensato di condividere i principali falsi miti che riguardano la comunicazione dei brand sui social network, approfittando dell’occasione per offrirti uno sconto del 10% sul Corso online in Social Media Marketing: si tratta di un percorso di apprendimento tra le competenze di quella figura professionale impegnata a progettare piani di comunicazione sulle piattaforme social, gestire campagne pubblicitarie, analizzare le metriche di social analytics, ideare contest e attività creative di engagement, affrontare la gestione delle community online.
Dallo sviluppo di integrazioni al supporto strategico, dalla creazione di concept creativi all’ottimizzazione dei risultati.
1. Facebook mostra solo i post sponsorizzati
Il più grande mito da sfatare è anche quello di maggior portata, che avanza dubbi sul canale: “Facebook non funziona più, è diventato un paid media”, si sente dire spesso. Una frase fatta, sulla bocca di tanti, che nasce dalla convinzione che la piattaforma mostri nelle home degli utenti solo i post sponsorizzati, penalizzando in termini di esposizione i contenuti diffusi dai brand in modo organico, cioè sfruttando il posizionamento naturale. Facebook è sicuramente più business oriented rispetto ad alcuni anni fa, ma la bassa diffusione dei contenuti non è imputabile al fatto che il sistema privilegi lo sponsorizzato.
Come molti sapranno, Facebook si basa su un algoritmo – il news feed – in grado di assegnare le priorità ai contenuti, mostrandoli sulla base della rilevanza che hanno per ciascun utente. L’algoritmo di Facebook è stato creato proprio per dare un criterio di rilevanza all’enorme flusso di post che caratterizza la home di ciascun individuo. Prima del news feed, le home riportavano cronologicamente tutti i contenuti prodotti dagli amici e dalle pagine seguite: se un utente contava 500 amici, che nell’arco di 24 ore avessero pubblicato due post ciascuno, senza l’algoritmo la sua home avrebbe mostrato 1000 contenuti, disposti in ordine cronologico.
Il news feed mette ordine a questa babele, applicando ai contenuti tre criteri: il momento in cui sono stati pubblicati, il grado di relazione tra l’utente e chi ha pubblicato il contenuto, infine il livello di coinvolgimento innescato dal post.
2. Creare post di qualità richiede troppo tempo
Qualche anno fa, questa convinzione circolava nel suo esatto opposto: si credeva che creare un post per Facebook consistesse semplicemente nella scrittura di post vivaci e nel monitoraggio del loro andamento. Così, ovviamente, non è. Ma è altrettanto infondato il pensiero che creare un post di qualità richieda un grande investimento di tempo.
Potrebbe essere un’attività lunga e complessa se alla base della creazione dei contenuti non ci fosse una pianificazione o una scelta ragionata di temi e strumenti. La programmazione è la chiave per gestire tutti gli elementi del social media marketing: consente di distribuirli nel tempo e coordinare ogni aspetto, dalla progettazione dei contenuti alla messa a punto delle creatività. Per il versante grafico, non è necessario essere un art director, ma è possibile affidarsi a strumenti semplici e che permettono di velocizzare il processo: Canva è uno di questi, un tool online con cui realizzare grafiche d’impatto in modo rapido e professionale.
3. Bisogna essere presenti su tutti i social
Il mondo social non può essere visto come un unico grande canale digitale: ogni piattaforma ha le proprie peculiarità e i propri tratti distintivi, target e format specifici. Come si fa, ad esempio, a pensare che Linkedin e Facebook abbiano le stesse caratteristiche? O che Twitter possa in qualche modo raccogliere lo stesso pubblico di Instagram?
Bisogna dunque capire quali social siano utili alla comunicazione del brand, presidiandoli e concentrando energie e investimenti solo su quelli: disperdere tempo e risorse su tutti i canali è controproducente. Gran parte delle piccole imprese non può fare affidamento su un bacino di utenza tale da stabilire e sostenere una grande presenza sui social media su più di un tot di canali. Per questo, prima di impegnarsi su più social, è consigliabile avviare una ricerca per conoscere su quali canali il proprio target è più attivo, così da concentrare tempo e sforzi su una comunità rilevante.
Automatizzare la pubblicazione è un altro errore strategico da penna rossa: può essere controproducente far rimbalzare lo stesso post da un social all’altro, collegando Twitter a Facebook, o Instagram con Facebook, facendo saltare tag e hashtag.
4. Bisogna avere numerosi fan e follower
Un falso mito che risponde a un’etichetta ben precisa: vanity metrics, ossia un parametro di misurazione generico e fuorviante, che non rispecchia l’effettivo valore (o carenza) di tattiche e strategie.
La vulgata per cui un piano editoriale di social media marketing necessiti di grandi bacini di pubblico e follower è la vanity metrics per antonomasia: come nell’email marketing, è preferibile avere a che fare con una community circoscritta, consolidata e presente (fatta cioè di utenti attivi), piuttosto che cercare a tutti i costi di attrarre fan e follower che dimostreranno scarsa inclinazione verso i propri contenuti.
Ma le vanity metrics sono anche tutti quegli indicatori che si limitano a conteggiare il numero di retweet e di like su Facebook. Per fortuna sempre più brand hanno iniziato a espandere in profondità le proprie analisi. Inutile dire che per un brand gli indicatori fondamentali sono le business metrics (tasso di conversione, utenti attivi, engagement).
Sfatare questo falso mito ci permette di toccare una considerazione più ampia: il social media marketing richiede tempo fisiologico per portare a risultati concreti, perché si nutre della relazione con le persone, si fonda su una conversazione che necessita di continuità e interazioni di valore per dare i suoi frutti.
5. Facebook non è adatto al mio business
Un altro grande luogo comune che è andato cristallizzandosi nel tempo. È come dire che non tutti i brand possano fare comunicazione, raccontare se stessi, perché il prodotto non implica spunti di interesse per le persone. Prendiamo Red Bull: di fatto commercializza una bibita energetica, eppure è diventato uno dei maggiori esempi di brand-editore, che produce una gran mole di contenuto, supportata da una forte presenza sui social network. Per dire che tutti i brand possono trovare un universo di riferimenti e argomenti da comunicare per coltivare la relazione con i clienti.
Facebook può anche non essere la piattaforma social ideale per il tuo settore commerciale, ma è una certezza che tra le sue pagine puoi trovare anche il pubblico interessato al tuo brand. Basti una considerazione: le persone su Facebook sono oltre due miliardi a livello globale. In questo bacino ci saranno senza dubbio anche i tuoi clienti.
6. Non postare più di due contenuti al giorno
La premessa è una e non così scontata: la frequenza di pubblicazione dipende dalla quantità di contenuti interessanti che si ha disposizione. Un tetto massimo di pubblicazioni giornaliere non ha motivo di essere. Un discorso che poteva essere fondato nell’era ante-news feed, quando cioè la home dell’utente visualizzava tutti i post pubblicati da amici e pagine seguite.
È la rilevanza a dettare dunque le frequenze di pubblicazione: stabilire un tetto di post per poi pubblicare contenuti di scarso interesse non serve a niente. Se c’è la qualità, non si hanno vincoli quantitativi; se i contenuti sono rilevanti per l’utente, ogni post merita di essere condiviso.
7. È meglio pubblicare solo in certi orari
Non esistono fasce orarie da privilegiare. A orientare il momento della pubblicazione è la natura del pubblico di riferimento di ciascun brand. Di certo è fondamentale riuscire a raggiungere i destinatari a ridosso della pubblicazione, intercettando dunque le persone quando sono connesse alla piattaforma.
La fascia oraria di un pubblico fatto di mamme e bambini in età scolare non sarà certo uguale a quella di adolescenti o giovani universitari. A guidare il momento della pubblicazione, come in tanti altri aspetti del social media marketing, è la tipologia del proprio target.
8. Il Social Media Manager lo può fare chiunque
E infine, il mito più grande: il social media marketing si impara con la sola pratica; basta avere doti basilari di scrittura e sensibilità col mezzo. Una convinzione che zavorrerà ogni strategia di comunicazione sui social, e non consentirà di evolvere competenze e strumenti.
La professione del social media manager non si improvvisa. Le piattaforme social sono un fondamentale tassello nella comunicazione di brand e di contatto con il cliente. Si chiama digital reputation, e negli ultimi tempi si nutre soprattutto del contatto sui canali social network. Come a nessuno verrebbe in mente di lasciare la creazione del nuovo sito di brand a un semiprofessionista, allo stesso modo la gestione delle pagine Facebook e Instagram dovrebbe essere demandata a una figura che padroneggi ogni aspetto del canale.
Il Social Media Manager è un professionista, formato e in continuo aggiornamento, sul mondo digital e su tutto quello che lo circonda. Ha studiato, studia e sa come muoversi nel web. Conosce i principi del marketing, ha abilità editoriali. Per questo cogliamo l’occasione per offrirti uno sconto del 10% sul Corso Online in Social Media Marketing di Ninja Marketing, che ti insegna a:
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