Mail Privacy Protection di Apple: minaccia concreta al futuro dell’Email Marketing o restrizione arginabile?
Articolo aggiornato al 16 novembre 2021
Premessa: uno degli obiettivi della Mail Privacy Protection è ostacolare il tracciamento del comportamento degli utenti Apple Mail. Proprio per questo al momento non è possibile distinguere gli utenti Apple che hanno abilitato la Mail Privacy Protection da quelli che non hanno attivato tale funzionalità. Non è quindi garantita l’assoluta certezza e accuratezza dei dati di seguito riportati.
Dallo sviluppo di integrazioni al supporto strategico, dalla creazione di concept creativi all’ottimizzazione dei risultati.
Aggiornamenti sugli impatti della Mail Privacy Protection dopo il rilascio di macOS Monterey
Continuiamo a monitorare costantemente i possibili impatti della Mail Privacy Protection, soprattutto dopo aggiornamenti importanti come il rilascio di macOS Monterey, che ha fatto assistere a un picco nel tasso di aperture “non reali” del 16% sul totale dei clienti MailUp e del 41% sul totale degli utenti Apple (indipendentemente dal client di posta e dal sistema operativo adottati). Percentuali quindi sicuramente in rialzo rispetto a quelle rilevate dopo la prima settimana dal rilascio di iOS15.
Guardando i Trend di Aperture di un cliente MailUp – che seguiamo attivamente con la nostra Consulenza Deliverability – tra quelli con la più alta percentuale di utenti Apple nel database, abbiamo riscontrato un aumento sia nei tassi di aperture uniche su domini Apple (grafico 1), sia nel tasso di aperture uniche su tutti i mailbox provider (grafico 2).
Anche nei Trend di engagement (grafico 3), si assiste a un lieve aumento dei cluster di utenti attivi e molto attivi rispetto agli inattivi, senza che il cliente in questione abbia fatto variazioni di rilievo nel target di destinatari.
Nel complesso, però, occorre sottolineare che tra tutti i clienti MailUp il numero di quelli che stanno risentendo concretamente degli impatti della MPP è comunque molto ridotto ed esiguo: possiamo contare circa 30 clienti in totale che nell’ultimo mese ha registrato un tasso di aperture “non reali” superiore al 20% e, di questi 30, solo pochi stanno mostrando dalle loro statistiche impatti significativi.
Aggiornamenti sugli impatti della Mail Privacy Protection a una settimana dal rilascio di iOS 15
Abbiamo monitorato i possibili impatti della Mail Privacy Protection di Apple ed effettuato diverse analisi per capire la portata di questo cambiamento sulle attività di tracciamento dei dati, prendendo come riferimento i volumi di invio (giornalieri e complessivi) del bacino clienti MailUp.
Tenendo in considerazione che nel bacino clienti MailUp gli utenti Apple rappresentano circa il 25-30% della base clienti giornaliera, ecco i dati salienti che abbiamo identificato:
- sul totale dei clienti MailUp, il tasso di aperture “non reali”, ovvero presumibilmente condizionate dalla Mail Privacy Protection, si attesta intorno al 6%
- sul totale degli utenti Apple (indipendentemente dal client di posta e dal sistema operativo adottati), il tasso si alza intorno a un 25%
Per riuscire a capire ancor meglio gli impatti delle nuove restrizioni Apple, abbiamo studiato le performance di uno tra i clienti MailUp con il maggior tasso di utenti Apple all’interno del database.
Guardando le statistiche di aperture ed engagement, non sono stati riscontrati particolari dati allarmanti. Se guardiamo soprattutto il trend di engagement, gli impatti della Mail Privacy Protection risultano pressoché irrilevanti:
Mail Privacy Protection di Apple: cos’è e cosa prevede
Durante l’ultima Worldwide Developer Conference del mese scorso Apple ha annunciato una serie di nuove funzionalità in tema privacy che faranno parte dell’aggiornamento al sistema operativo iOS 15.
Fin qui tutto sembrerebbe normale e abbastanza irrilevante per il mondo dell’Email Marketing, se non fosse che, con quella che prende il nome di Mail Privacy Protection, Apple è intenzionata a implementare sul suo servizio di posta elettronica diverse limitazioni alla quantità di dati che si possono raccogliere sugli utenti tramite email.
L’annuncio ha innescato subito un acceso dibattito sulle possibili conseguenze di questa scelta sul futuro delle attività di tracciamento via email e delle strategie data-driven.
Ma in cosa consiste esattamente la Mail Privacy Protection? Si tratta di una nuova funzionalità dell’applicazione Mail di Apple a cui potranno avere accesso tutti gli utenti del brand con l’aggiornamento dei sistemi operativi iOS e macOS. Tale feature, per citare lo stesso annuncio di Apple, “impedirà ai mittenti di utilizzare i pixel invisibili per determinare quando gli utenti aprono i loro messaggi e nasconderà i loro indirizzi IP in modo tale che quest’azione non potrà essere collegata ad altre loro attività online, rendendo impossibile determinare quindi la posizione di un utente”.
Cosa sono i pixel invisibili?
I pixel invisibili, anche detti di tracciamento, hanno lo scopo di tracciare l’apertura di ogni messaggio e corrispondono solitamente a un’immagine trasparente e impercettibile (delle dimensioni per l’appunto di 1 x 1 pixel) che viene inserita all’interno di un’email con l’obiettivo di ricavare informazioni e dati importanti relativi alla sua apertura. Il processo con cui avviene tale tracciamento è il seguente: non appena il destinatario apre il messaggio, parte in automatico una richiesta ad un server remoto per scaricare questa immagine invisibile, dando la possibilità al mittente di identificarel’utente che ha dato il via all’attività, l’IP di provenienza e il momento in cui è avvenuta
Il contesto: come nasce il movimento privacy-first
Facciamo un passo indietro: non è la prima volta che qualcuno tenta di bloccare il tracciamento delle aperture. La prima ad introdurre questo concetto è stata Microsoft con i client Outlook, quando ha deciso di disabilitare di default le immagini portando gli utenti a dover cliccare per abilitarne la visualizzazione. Quello che allora era sembrato come “la fine delle aperture” ha portato i marketer a creare messaggi più sofisticati e i destinatari a disabilitare il blocco delle immagini di default.
Poi è stata la volta di Google e Yahoo! con il caching delle immagini. Fortunatamente, anche se le immagini venivano scaricate dal proxy del provider e non dal destinatario finale – facendo scattare qualche apertura fittizia ogni tanto – non era intenzione di questi provider impedire al mittente di accedere a informazioni sull’apertura, ma semplicemente “mascherare” quest’ultima utilizzando un IP e un useragent del provider e non del destinatario
In ultimo Hey.com ha lanciato un servizio di posta che garantisce la “neutralizzazione” dei pixel di tracciamento, mentre Sensorpro si sta facendo portavoce del movimento Do Not Track, che propone di lasciare all’utente la possibilità di dare il suo consenso al monitoraggio tramite pixel sin dal form di iscrizione.
Sensorpro is a mailing list and survey company that's calling upon the entire industry to Do Not Track 👏. Why am I not surprised that they're based in the EU? ❤️ https://t.co/qGs7pAM01M
— DHH (@dhh) March 27, 2020
Appare chiaro, dunque, come quella di Apple sia un’iniziativa che si colloca in un più ampio tentativo da parte di diversi provider di fornire ai loro utenti un maggiore controllo sulla propria privacy, cosa che è fondamentalmente corretta e assolutamente in linea con l’evoluzione della privacy-awareness dei giorni nostri.
Le modalità con cui tali “privacy-first” feature vengono sviluppate e proposte però differiscono tra loro in termini di granularità e libertà di scelta lasciata agli utenti finali, due elementi da non sottovalutare.
E non dimentichiamo che già diversi email service provider non solo rendono i propri clienti puntualmente informati sulle modalità di tracciamento dei dati, ma mettono anche a disposizione strumenti (quali, ad esempio, i centri preferenze) che consentono di disabilitare tale tracciamento per i loro indirizzi.
Come agisce concretamente la Mail Privacy Protection?
Le aperture “non reali”
La Mail Privacy Protection di Apple rende impossibile determinare il comportamento dell’utente, introducendo un rumore di fondo, ovvero una serie di aperture “non reali”, non generate dall’utente ma dai sistemi di Apple e impossibili da ricondurre a un’azione reale da parte del destinatario.
Utilizzando la tecnologia che Apple mette a disposizione degli utenti, quest’ultimi possono configurare il client in due differenti modalità
- Caso 1: Possono visualizzare le immagini delle email ricevute direttamente dal loro dispositivo (come prima) oppure decidere se passare attraverso un proxy anonimo integrato con il client.
In questo ultimo caso l’IP e lo user-agent utilizzati per leggere l’email non saranno quelli reali dell’utente, impedendo di fatto la geolocalizzazione e l’identificazione del reale client utilizzato, oltre che il tracciamento del comportamento dell’utente senza informazioni di prima-parte.
La data e l’ora dell’apertura del messaggio in questo primo caso possono essere considerate attendibili - Caso 2: Possono configurare il client in modo che sia quest’ultimo che – arbitrariamente – scarichi il contenuto delle email ricevute in un tempo variabile dopo la loro ricezione ma non collegato alla reale lettura del messaggio da parte dell’utente.
In questo caso IP e user-agent non saranno quelli reali, come indicato al punto precedente, ma nemmeno la data e l’ora di lettura del messaggio potranno essere considerate attendibili. Tutte le successive letture “reali” da parte dell’utente non genereranno chiamate sui server del service provider e saranno, di fatto, invisibili.
Non essendoci sostanziali differenze nel modo in cui le informazioni anonimizzate vengono fornite al service provider in entrambi i casi, non è possibile distinguere tra i due, rendendo – di fatto – tutte queste aperture “inattendibili”.
Tutte le conseguenze della Privacy Protection sull’Email Marketing
Il primo e più evidente impatto dell’introduzione della Mail Privacy Protection è su una delle metriche dell’Email Marketing più discusse, ma anche più utilizzata, dai marketer: l’open rate.
Su tale KPI on-mail, da sempre, si è detto tutto e di più e sono molti gli esperti che la ritengono una metrica poco precisa.
Da un certo punto di vista è corretto, l’open rate è il “low-hanging fruit” delle metriche: facile da recuperare, bella (perché un 40% di open rate trasmette un’impressione di successo maggiore rispetto ad un 3% di click rate) e utile per valutare A/B test e creare segmentazioni (tra utenti attivi e inattivi oppure in funzione delle fasce orarie di lettura). Tuttavia, in quanto a “precisione”, si tratta di una metrica che spesso lascia a desiderare: ci sono diversi sistemi anti-virus / anti-spam che simulano le aperture degli utenti, destinatari che leggono le email senza visualizzare le immagini oppure con sistemi che bloccano i pixel di tracciamento, e questo da sempre.
Questa metrica, inoltre, ha creato la “tendenza” a far passare in secondo piano la rilevanza del contenuto del messaggio, privilegiando i test sugli oggetti che ottengono le migliori aperture e le strategie per ottimizzarne l’efficacia sempre in ottica di puro aumento quantitativo dell’open rate.
È anche vero che l’open rate può essere utilizzato – cum grano salis – come punto di partenza top of the funnel per arrivare alle metriche che contano davvero: clic, conversione, ROI, o per capire, al netto del rumore di fondo, se una determinata modifica può favorire il raggiungimento del target di invio.
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1. Danni alla reputazione del mittente e alla capacità di recapito dei messaggi
Comunque sia, eliminare un “data point” complica la vita ai marketer che vogliono avere quante più informazioni possibili – precise o meno – per declinare la propria strategia.
Se da un lato, per un certo verso, possiamo “ringraziare” Apple perché con questa mossa aiuterà i marketer a prendere in considerazione metriche più interessanti e più direttamente collegate al ROI, dall’altro lato si assisterà molto probabilmente a un aumento del numero di email inviate, venendo meno ad alcune regole sul tasso di engagement che tipicamente determinano la frequenza di invio.
Questo potrebbe avere di conseguenza impatti sulla reputazione del mittente e sul recapito dei messaggi, magari non nell’immediato ma sicuramente nel medio termine. Sarà quindi fondamentale – per i marketer che utilizzano le aperture e le metriche di engagement per determinare la frequenza di invio – confrontarsi con il proprio email service provider per considerare nel modo opportuno tutte le variabili e identificare la strategia migliore per evitare danni alla propria reputazione nei mesi successivi.
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2. Perdita di informazioni utili agli algoritmi
Ma le aperture servono anche agli Email Service Provider più diligenti, come MailUp, per intercettare i clienti che fanno registrare tassi di aperture molto bassi e verificare che non siano in violazione dei termini d’uso. Anche se non è il segnale più importante, toglierlo vorrebbe dire perdere delle informazioni importanti e dover ritarare gli algoritmi di conseguenza.
3. Minor pulizia e qualità del database
Ma c’è una cosa a mio avviso ancora più problematica: l’impatto che questa modifica avrà sugli algoritmi di engagement e sulla distinzione tra destinatari attivi e inattivi.
I principali mailbox provider, compreso Apple, consigliano da sempre di tenere “pulita” la propria lista contatti, disiscrivendo quelli inattivi per evitare di continuare ad inviare email che possano deteriorare alla lunga la propria reputazione.
Noi stessi, tra le best practice di database building, presentiamo la disiscrizione dei contatti come un elemento fisiologico e sano. Negli anni, infatti, tra la customer base di MailUp, abbiamo assistito a diversi casi concreti di clienti che sono riusciti a migliorare la propria reputazione e recapitabilità utilizzando apposite strategie di re-engagement dei contatti inattivi e mantenendo pulito il database facilitando le disiscrizioni degli utenti non interessati.
Quale sarà il futuro dell’Email Marketing dopo la Mail Privacy Protection?
Le aperture, d’altronde, sono sempre servite agli scopi appena descritti e se nel futuro non potranno più essere usate per trarre tali vantaggi bisognerà capire come poterle sostituire. Forse saranno i mailbox provider stessi che forniranno queste metriche a pagamento, come ha iniziato a fare Verizion Media Group, ma questa soluzione, oltre a provocare un potenziale conflitto di interessi, susciterebbe giustamente un problema di ROI, scatenando scontento da parte di molti marketer, che potrebbero non essere disposti a pagare per ottenere queste informazioni.
Ma alla fine, è giusto dirlo, ai destinatari finali non è mai importato nulla del pixel di tracciamento, e chi non voleva essere tracciato ha già provveduto a farlo in autonomia. Ai destinatari interessa che il contenuto del messaggio risponda a un loro bisogno, e i marketer – almeno quelli che non lo stanno già facendo – devono prendere spunto da questo per focalizzarsi sulla rilevanza del messaggio e misurare le metriche che contano davvero in termini di crescita e ricavi per il business (nessuno guadagna sull’open rate).
Inoltre, questa mossa di Apple può diventare persino un assist ad abbattere i silos che ancora permangono tra metriche on-mail e metriche off-mail (pagine viste, conversioni, acquisti, revenue): oggi più che mai c’è bisogno di migliorare la sincronizzazione di questi due mondi per garantire la loro piena integrazione.
I consigli di MailUp per gestire l’anti-tracciamento di Apple
In attesa di capire cosa ci aspetterà davvero a partire da settembre possiamo darti qualche consiglio per aiutarti a riflettere e valutare le tue strategie:
- inizia a mappare gli utenti inattivi e valuta campagne di re-engagement per farli ritornare attivi oppure disiscriverli definitivamente
- dai più peso ad altri indicatori rispetto alle aperture.
Se sono indicatori non tracciati con la piattaforma MailUp, incomincia a valutare come poterli integrare alla piattaforma - se utilizzi gli A/B test per determinare l’efficacia di un oggetto, questi potrebbero non funzionare più. Sarà necessario testare fin da subito nuovi indicatori per capire gli impatti negli A/B test.
- se stai utilizzando le aperture per regolare la frequenza di invio, come indicatore principale per determinare i destinatari attivi della tua lista o per fare pulizia della lista stessa potresti trovarti con più destinatari del previsto. Ti consigliamo di sperimentare con successo come affiancare tale pratica a quella dell’utilizzo di winback email per identificare gli utenti attivi.
Noi di MailUp, dal canto nostro, ci stiamo già muovendo per capire come adattare per tempo gli strumenti che offre la piattaforma alle nuove sfide che l’ecosistema email ci pone.
Crediamo infatti che uno dei vantaggi nell’utilizzare una piattaforma di invio professionale sia quello di ridurre il peso dei cambiamenti sulle spalle dei clienti e guidarli per affrontare insieme, con criterio e strategie ragionate, ogni cambiamento e imprevisto futuro.